Il cosiddetto direttore di gara perde il mondiale - Notizie | Autosprint

2021-12-06 23:03:55 By : Ms. Sally Yu

Niente di personale, ma Michael Masi F1 non ce la fa. Uno che va nel panico, prende decisioni e impiega ore per dire la sua, rischia solo di rovinare tutto

Niente di personale contro Michael Masi, forse è un grande uomo di corse e un meraviglioso ragazzo di famiglia e amico di amici. Ma se c'è una figura di spicco in questo mondiale che esce malconcio da una stagione meravigliosa e molto combattuta, è proprio lui. In Arabia Saudita i mille indizi, le tante sensazioni e le enormi perplessità acquisite altrove sono improvvisamente diventate realtà, con le ombre che hanno preso forma ei fantasmi che sono diventati prove schiaccianti.

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Che senso ha quella prima bandiera rossa data dall'uscita di Mick Schumacher al decimo giro, che permette a Verstappen di ripartire in pole e con le gomme giuste e cambiate nell'intervallo? Una manipolazione pesante, rilevante, immotivata della classifica, con un titolo mondiale da giocarsi, a fronte di una Haas da abbattere che non aveva nemmeno rovinato le barriere ma solo un po' strappato la scritta di uno sponsor. E poi il clima assurdo, insopportabile e senza fiato della contrattazione, del mercato del pesce, di un bar affollato nei dialoghi radiofonici, tra caposquadra e direttore di gara, tra offerte, controproposte, polemiche dirette, nuovi titolari che decidono un così tanto al chilo e un senso di squallore e mancanza di autorità di chi invece dovrebbe averne in abbondanza.

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E, soprattutto, un fatto che fa orrore: i disciplinati, cioè i subordinati, cioè le squadre, i piloti e i capi squadra, di Michele Masi non hanno paura ed evidentemente vantano poca stima, perché si rivolgono a lui oa chi per lui mediamente con un atteggiamento così duro e al limite dell'insolenza, che già dice tutto, indipendentemente da chi nella singola delle infinite polemiche abbia ragione o torto. C'era una volta Charlie Whiting, con la sua infinita esperienza, la sua autorità e la sua rara capacità di accettare e instaurare un dialogo mantenendo una posizione di preminenza e supremazia su tutti. Tanto che tutti lo chiamavano "Ehi, Charlie", ma poi le decisioni venivano rispettate senza troppi pretesti e in genere con tutti tranquilli e volanti. Michele Masi n.

Altre cose. Appare senza fiato, esitante, dà troppe spiegazioni quando non dovrebbe darne e non ne dà quando farebbe bene a essere più chiaro e motivato. Nel GP d'Arabia, all'interno di una gara sicuramente e oggettivamente difficile da disciplinare, su un circuito che è fonte di mille problemi alla minima emergenza, perché quasi totalmente privo di vie di fuga, Masi invece di apparire il torre ferma che non cade, punto di riferimento del Circo e anche superarbitro, garante nelle cui mani riposano l'equità e la regolarità dell'epilogo della sfida mondiale, riappare sulla soglia della zona del panico: incerta, balbettante, inutilmente chiacchierone, loquace e anche, tutto sommato, poco reattivo oltre che lento, lentissimo nelle decisioni da prendere. Anche decretando Virtual Safety Car per raccogliere detriti semplici, uno molto diverso dall'altro in termini di durata, quando in tutti i casi c'era solo da raccogliere un pezzo di carbonio e si parte. Insomma, se la lotta in pista è stata ancora una volta estrema e spettacolare, il feedback dato dal timoniere di regata è stato, ancora una volta, sconfortante, se non agghiacciante.

Anche perché dall'uomo forte della F1, dall'autorità permanente che ogni volta disciplina la corsa, ci si aspetta fermezza, polso totale della situazione e la capacità di tenere a bada tutti i possibili mendicanti via etere con una personalità che, oltre a non ammette repliche, non accetta proteste, rappresaglie o polemiche in diretta. Non si capisce perché nei campi di terza categoria ci sia più rispetto, allure e sottomissione per qualsiasi arbitro di calcio, che magari nella vita è assicuratore e da nero può contare solo su rimborsi in fondo alla lista, mentre in luoghi più ricchi del mondo, durante la messa in scena dello sport più danaroso e corporativo del pianeta, tutti i partecipanti sono pronti a infuriarsi e a gridare dal vivo chi dovrebbe tenerli al guinzaglio e invece appare molto spaventato e desideroso solo di adularli, per accontentarli i più potenti in modo bipartisan non erano nemmeno a un congresso democristiano, in cui tutte le correnti devono essere placate prima di poter fare sera. No, non è questo. Il messaggio che arriva dal GP d'Arabia è che l'arbitraggio ha ormai troppo spazio e poca consistenza in F1, tanta risonanza mediatica e, in proporzione, pochissima e condivisa autorità nelle decisioni. Il titolare ufficiale, colui che tiene in mano le redini dello sviluppo e della disciplina agonistica per tutto il campionato, deve essere uno che fa paura a tutti. Uno con lo sguardo di Diabolik e la cultura competitiva di Stirling Moss, anima buona. Uno che gli toglie la voglia di contraddirlo fin da un'ora prima del via. Uno che comanda e che sa comandare.

Un dittatore assoluto e credibile, perché in un Gran Premio di F1 la democrazia non esiste, non deve esistere nemmeno lontanamente, né dialogo e nemmeno contrattazione, trattative e aggiustamenti lungo il cammino con la caciara del mercato della Vucciria. Per dirigere un Gran Premio ci vuole un uomo forte, uno che abbia la divisa soprattutto perché deve condurre le operazioni in modo militare e non militare, con l'autorità del leader assoluto e non con le esitazioni e l'andamento vacillante di un timoniere tremante, contraddittorio e incerto. Per questo, quando ancora non è chiaro chi sarà il vincitore in pista tra i due infiniti contendenti di questo mondiale, oggi il perdente ahimè già si sa ed è l'arbitro assoluto, colui che tiene le redini della corsa operazioni. E Dio voglia che al termine della gara di Abu Dhabi i maledetti mezzi puntacci assegnati durante la farsa parade di Spa, sotto la pioggia culminata con quel vergognoso e fulmineo oltre che laico corteo, non siano determinanti per l'assegnazione del titolo, perché a quel punto uno dei campionati più belli e tirati della storia della F1 finirebbe inquinato da una delle decisioni formalmente giustificate da qualche paragrafo del regolamento qualunque ma più sostanzialmente e sportivamente vergognoso di tutta la storia delle corse.

Caro Michele Masi, massimo rispetto per il tuo ruolo, la tua esperienza, i tuoi ranghi e le tue responsabilità: chi scrive frasi di odio come smettere o partire perché non fa parte della cultura delle corse, tanto meno di questo giornale. Comunque credetemi, come si dice negli uffici seri, se avete un po' di ferie, pensateci a questo punto e, intanto, provate a scaricarli.

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