Il settore siderurgico è in difficoltà, nonostante la domanda di acciaio sia in aumento. Potrebbero essere licenziati fino a 60.000 dipendenti. Ancora lavori urgenti.
Il recupero desiderato richiederà tempo. Nonostante le misure adottate, infatti, il mercato del lavoro sembra aver subito un colpo troppo duro per essere assorbito dalla semplice redistribuzione delle risorse. E alcuni settori hanno più probabilità di altri di subire il destino più duro. L'industria siderurgica sembra essere la più esposta e, come spiegano i sindacati, ben 60.000 lavoratori del settore rischiano di essere licenziati nel breve periodo in tutta Italia. Una situazione estremamente precaria che colpisce sia i lavoratori indiretti che quelli diretti dell'industria siderurgica. Fa parte del gruppo lo staff delle Acciaierie d'Italia (ex Ilva).
Non solo i dipendenti del centro di Taranto ma anche quelli di Genova e Racconigi. Una situazione che troverebbe risposta nella condizione economica generale e nell'aumento del costo delle materie prime. Eppure, sempre secondo i sindacati, la situazione economica legata al settore siderurgico sta attraversando un periodo di crescita della domanda di acciaio, trend ritenuto positivo. La risposta dovrà venire dal Governo, anche perché i sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm hanno già annunciato la mobilitazione di 8 ore per la giornata del 10 novembre, in tutti i siti industriali dove il rischio di licenziamento è più concreto.
Il polo siderurgico dell'ex Ilva di Taranto correrebbe il rischio più immediato. Il lavoro, infatti, sarebbe messo a rischio nonostante l'aumento della produzione, in quanto non accompagnato da un aumento dell'occupazione. In sostanza, le acciaierie di Taranto avrebbero livelli di produzione inferiori e almeno 2.300 lavoratori sono ancora in condizione di cassa integrazione. A questi se ne devono aggiungere altri 1.600 in amministrazione straordinaria e cassa straordinaria. Infine, altri 4.000 lavoratori delle industrie parallele non rischierebbero il posto di lavoro ma i ritardi nel pagamento delle bollette. Un quadro del tutto speculare a Genova, con 200 lavoratori a rotazione che finiscono in cassa integrazione e altri 280 in amministrazione straordinaria.
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Il problema, quindi, sarebbe da ricercare nella sottoproduzione, che renderebbe insostenibile sostenere il peso dei lavoratori a contratto. Un'anomalia, come detto, rispetto alla crescente domanda di acciaio. A Genova, ad esempio, la produzione si aggira intorno alle 700 tonnellate a fronte di un milione potenzialmente realizzabile. Stesso discorso per Novi Ligure, dove la capacità di oltre un milione si attesta attualmente a 700 tonnellate allo stesso modo. La mobilitazione delle prossime ore sarà il primo passo, anche per cercare di capire quali misure verranno messe in atto per sostenere il settore e salvare i posti di lavoro di un totale di 60.000 dipendenti a rischio. Un disastro da evitare a tutti i costi.