Acqua alta a Venezia, Mose: diciotto anni di cantieri e non è finita - CorrieredelVeneto.it

2021-11-17 07:19:49 By : Ms. COCO jiang

L'effetto del Mose sulla marea

Sabato mattina ha chiuso per la quinta volta in una sola settimana. La marea alla bocchetta del Lido, fuori dalle dighe gialle, ha raggiunto i 118 centimetri, ma in laguna il Mose l'ha tenuta a 71 centimetri, abbastanza da lasciare all'asciutto tutta Venezia, compresi i punti più bassi come piazza San Marco. Alle 6.01 sono state alzate le dighe al Lido (foce che si divide in due file: Treporti e San Nicolò), alle 8.01 a Chioggia e alle 9.42 a Malamocco. Con i venti moti dello scorso anno sono quindi 25 le volte in cui il Mose ha già protetto Venezia dall'acqua alta a partire dal “debutto” del 3 ottobre 2020. Il Mose funziona, dunque. Ma ciò non toglie che quest'opera - nata dal dibattito sorto dopo l'"acqua granda" del 1966 (194 centimetri, cioè più di un metro in piazza San Marco) e il "progetto" del 1982 - sia tutta rose e fiori, piuttosto. Basterebbe un lampo: quando il 14 maggio 2003 l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi pose la prima pietra, si parlava di concluderlo nel 2012 e di spendere 3,4 miliardi di euro. Ora il cronoprogramma prevede la consegna alla fine del 2023, oltre dieci anni dopo, e la spesa supererà i 6 miliardi: al "prezzo chiuso" che nel frattempo è salito a 5,493 miliardi, infatti, i 538 milioni recuperati grazie a il risparmio sugli interessi, svincolato di recente dal Cipess. Ma ci sono molte altre domande aperte.

È il "paradosso" di Mosè, o almeno così appare a chi guarda dall'esterno, ad esempio la stampa internazionale. Piccola premessa: quando si parla di acqua alta, il punto di partenza non è il selciato di Venezia, ma il cosiddetto "medio mare". San Marco inizia ad andare sott'acqua quando la marea supera i 70 centimetri. A 88 centimetri l'acqua supera il bordo della Basilica di San Marco ed entra nel nartece, ovvero nell'atrio con i suoi preziosi mosaici, che un paio di anni fa era protetto dall'acqua che saliva dal basso. A regime, il Mose salirà solo per previsioni superiori a 110 centimetri, mentre ora che è in fase finale si è deciso di alzare questa soglia a 130, anche se i rialzi di questi giorni mostrano che c'è flessibilità. Il 12 novembre 2019, la seconda marea della storia il cui secondo anniversario si svolgerà questa settimana, il picco è stato di 187 e ha causato un miliardo di danni. Per risolvere la questione San Marco, la Procuratoria un paio di anni fa aveva già progettato una "cintura" di lastre di vetro, i cui lavori, però, sono iniziati solo a fine settembre, dopo varie vicissitudini: sono stati realizzati da Rossi Renzo Costruzioni e il Consorzio Kostructive. Il cronoprogramma prevedeva tre mesi, ma la stagione non aiuta perché le acque alte inondano il cantiere e sono poi stati ritrovati decine di scheletri del XIV-XV secolo. Sarà pronto in primavera, in vista dell'autunno del 2022. "Finché San Marco non sarà tutelato, il Mose dovrà essere rialzato di più", hanno chiesto a gran voce Claudio Vernier dell'Associazione Piazza San Marco e il primo pm Carlo Alberto Tesserin .

Kostruzione, con la società Thetis e l'Università degli Studi di Padova, ha progettato anche la difesa dell'intera Piazza, presentata un anno e mezzo fa: tutti gli scarichi saranno puliti e ripristinati e sarà realizzato un sistema di saracinesche, valvole e altri interventi locali. creato. , per una spesa complessiva di 40 milioni di euro. Un primo stralcio di 11 milioni (già finanziato), con due anni di lavori andrebbe a tutelare piazza San Marco fino a quei 110 che, come detto, saranno la quota a regime del Mose. I lavori potrebbero iniziare dopo il Carnevale. Kostrativi, con il suo presidente Devis Rizzo, è anche il capofila dei consorziati CVN, dopo l'"uscita" dei "grandi" Mantovani, Fincosit, Condotte. I rapporti tra le società e il Consorzio, guidato da un anno dal liquidatore Massimo Miani, sono stati tesi negli ultimi mesi, perché il primo ha chiesto il pagamento di oltre 20 milioni di euro. Miani, a pochi mesi dal suo arrivo, però, ha ricostruito un "buco" di quasi 200 milioni di euro e ha bloccato i pagamenti con un concordato preventivo in tribunale. Un atto che ha messo in difficoltà anche le controllate Thetis e Comar, i cui dipendenti non hanno percepito lo stipendio per alcuni mesi prima che la faccenda si risolvesse. Di recente le parti si sono avvicinate e sembra che sia vicino un accordo - alcuni dicono anche la prossima settimana - che dovrebbe portare al pagamento del 100 per cento dei debiti, a fronte di una rinuncia alle riserve. A seguito di ciò, il CVN dovrebbe chiudere l'accordo con la Soprintendenza, compensando a sua volta tutte le riserve con i 120 milioni che l'ufficio dello Stato aveva anticipato per dirimere alcune criticità.

Il problema della manutenzione e della corrosione

E qui arriviamo all'altra grande questione e guerra giudiziaria: quella per la manutenzione dell'opera, che per i cancelli era prevista ogni 5 anni. I primi però - quelli di Treporti - sono sott'acqua dal 2013, quindi da otto anni. A breve Fincantieri dovrebbe ricevere il via libera, a quasi tre anni dall'annuncio e dopo una serie di colpi di scena tra Tar e Consiglio di Stato. Ma la stessa Fincantieri si è appellata ai giudici su un secondo bando, che riguardava la manutenzione degli altri tre filari (Lido San Nicolò, Malamocco e Chioggia) e dei cardini, cioè l'elemento che collega i cancelli in acciaio ai cassoni in cemento del fondale marino, che mostra tracce di corrosione. A luglio l'allora amministratore Cinzia Zincone aveva annunciato la gara da 64 milioni e il colosso della cantieristica l'aveva vinta, essendo l'unico partecipante. Ma il 29 settembre il nuovo commissario provvisorio Fabio Riva ha sospeso il premio. L'udienza di sospensione al TAR è stata fissata per il 17 novembre. Nel provvedimento Riva aveva scritto che «questa amministrazione è venuta a conoscenza di un'indagine avviata dalla Procura regionale presso la Corte dei conti del Veneto a seguito dell'annuncio del bando, volta ad accertare lo stato dei luoghi che ospitano l'opera”. L'inchiesta è quella del procuratore capo Paolo Evangelista e della sua collega Federica Pasero, che hanno inviato più volte i sommozzatori delle Finanze per verificare lo stato dei lavori subacquei. Proprio pochi giorni fa è stata depositata la relazione tecnica dell'esperto francese Nicolas Larché, secondo cui le cerniere presentano segni di corrosione, ma non gravi al punto da compromettere il funzionamento del Mose, come temuto: possono essere trattate con paste speciali e il problema sarà legato ad eventuali danni al fisco nel caso in cui la vita residua sia inferiore ai cento anni previsti.

Zincone - sospesa ad agosto per un paio di contenziosi disciplinari sui quali è pronta a darsi battaglia - aveva però sostenuto, in una nota inviata a maggio al ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, che «la tenuta stessa dei lavori alle foci è a rischio se non interveniamo con la prima manutenzione”. Il commissario straordinario del Mose Elisabetta Spitz aveva criticato l'iniziativa di Zincone, "presa autonomamente dal Soprintendente, senza alcun coordinamento con chi scrive, vanificando l'impegno fin qui profuso e provocando uno spreco di risorse", elencando una decina di punti contestati e chiedendo la "revoca o cancellazione". Tra le contestazioni di Fincantieri, anche la legittimità della nomina di Riva, dopo lo stop della Corte dei Conti, che aveva sottolineato che il dirigente era stato nominato prima del 23 settembre, data da cui era iniziata la sospensione di Zincone. Il capo del dicastero Ilaria Bramezza ha spiegato di aver delegato Riva a firmare, ma pare che anche nei giorni scorsi si sia recato alla Corte dei Conti e che per ora non firmi nulla: il timore è che gli atti precedenti possano essere nullo (compresa la suddetta sospensione), mentre le aziende operanti a San Marco non hanno ricevuto finora un euro.

Il porto e i pescatori

L'ultimo nodo riguarda il rapporto tra il Mose e il porto. O, meglio, i porti: quello commerciale (e in futuro anche crocieristico) di Marghera da un lato, a cui si accede attraverso la foce di Malamocco e il canale Petroli, e quello di Chioggia. Infatti con le dighe chiuse le navi non passano e per questo sono state costruite due conche di navigazione. Peccato però che per ora siano inutili perché mancano le “porte” di accesso. Quello di Chioggia è vittima di un'altra guerra in tribunale dopo il crac della società che lo stava costruendo, ma il caso più clamoroso è quello di Malamocco. Qui la porta lato mare, costata circa 15 milioni di euro, è fuori uso non ieri, ma da sei anni, danneggiata da una mareggiata nel 2015. Solo ora - dopo aver accertato che è meglio renderla più resistente e sostituendola quell'avveniristico sistema "idro-piede", che lo faceva muovere su getti d'aria, con carrelli più prosaici e sicuri - sono iniziati i lavori per rifarlo, con una spesa extra di 31 milioni e mezzo di euro. Anche qui bisognerà capire di chi sono le responsabilità, se del progettista o di chi l'ha creato. Nel frattempo, però, per questo inverno le navi non potranno entrare a Mosè chiuso. Per rimediare a questa situazione si sta tentando di utilizzare il Mose in maniera modulare, cioè sollevando per ultimo Malamocco, in modo da consentire più a lungo il passaggio delle varie navi merci da e per Marghera. Ma il bacino ha anche altri due problemi: le dimensioni, decise quando le navi erano decisamente più piccole (per ora passano solo quelle fino a 220 metri), e l'allineamento che rende difficile la manovra di ingresso, "stretta" a causa della lunata. Un tavolo tecnico tra ministero (guidato da Bramezza) e operatori dovrà valutare se realizzare dei “pennelli d'invito” (i “delfini d'ormeggio”) o pensare a più improbabili, quanto costosissimi, ampliamenti del bacino.

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