Dai processi al crollo, così è affondata l'azienda che si era affidata al commercialista della Lega - L'Espresso -

2021-11-17 09:48:26 By : Mr. David Ding

Conti in rosso. Debiti da 140 milioni. Fallisce il salvataggio del Bergamo Boost, che ora spera in un accordo. Le banche temono il coinvolgimento del gruppo nelle indagini sui fondi del partito di Salvini

Ai bei tempi, con la Lega rampante e Matteo Salvini al Viminale, Marzio Carrara e Alberto Di Rubba erano inseparabili. Il primo imprenditore, con l'idea fissa di diventare il primo tipografo in Italia, nel settore agende, agende e simili. Mentre Di Rubba, l'uomo dei numeri, il revisore dei conti del Carroccio, si era messo al servizio dell'amico per tirare le fila di un progetto ad alto rischio, un sesto grado di scalata finanziaria. È finita male.

Il commercialista leghista, processato a Milano per peculato nell'acquisto della nuova sede della Lombardia Film Commission, è stato condannato in primo grado a cinque anni di reclusione a giugno. Dopo due mesi Carrara è arrivato anche all'ultima curva. Prima del 15 agosto, l'imprenditore ha portato i libri in tribunale chiedendo un accordo per il gruppo Boost, nato dalla fusione di Johnson e Lediberg, due società con sede in provincia di Bergamo rilevate nel 2018.

La svolta di questi giorni è l'ultimo capitolo di una storia travagliata, un racconto in cui si intrecciano politica, finanza e ambizioni personali. È in gioco il destino di oltre 700 posti di lavoro, con i dipendenti che ricevono gli stipendi in ritardo di mesi. L'ultimo colpo alle residue speranze di Carrara risale al 28 giugno quando Banco Bpm ha bloccato un finanziamento di 32 milioni complessivi da erogare insieme alla Popolare di Sondrio, finanziamento assistito anche dalla pubblica garanzia Sace. A questo punto, con le casse vuote, i conti in rosso e 140 milioni di debiti, l'accordo in bianco serve a prendere tempo per presentare un piano di salvataggio dettagliato entro quattro mesi.

Negli atti a corredo del ricorso al tribunale fallimentare di Bergamo, dossier a cui L'Espresso ha avuto accesso, si legge, tra l'altro, che "la decisione del Banco Bpm di non proseguire con l'erogazione del prestito non è pertinente ai motivi solvibilità dell'impresa”. L'allusione è chiara. Il vero motivo della svolta sarebbe il rapporto tra Carrara e il leghista Di Rubba, finito sul banco degli imputati proprio mentre erano in corso le trattative per il salvataggio della società bergamasca. In altre parole, i banchieri temono che l'indagine penale sui fondi neri del partito di Salvini possa in futuro coinvolgere anche il proprietario del gruppo Boost. Che, va detto, al momento non è indagato, anche se il suo nome compare più volte nelle carte giudiziarie sulla gestione finanziaria dei commercialisti del Carroccio.

È difficile negare, però, che Di Rubba, condannato insieme all'altro commercialista leghista Andrea Manzoni (4 anni e 4 mesi), abbia avuto un ruolo di primo piano nella rapidissima ascesa di Carrara, segnata da acquisizioni, scissioni e fusioni, con società che nascono e muoiono nel giro di poche settimane, holding che cambiano nome e funzioni e si sovrappongono.

Questo vortice finanziario, secondo quanto emerge dagli atti dell'inchiesta penale, ha prodotto immediati benefici per pochi fortunati, tutti legati al carro leghista guidato da Di Rubba. Quest'ultimo, per dire, a maggio 2018, ha incassato oltre un milione di euro come plusvalenza dalla rivendita di una delle società acquisite insieme all'amico Carrara e al manager Alessandro Bulfon. In pratica la stessa azienda, acquistata per cinque milioni all'inizio del 2018, è stata ceduta a maggio per 29 milioni al gruppo Elcograf della famiglia Pozzoni. Un affare incredibile, una volta segnalato come sospetto dagli analisti dell'Unità di Informazione Finanziaria (Uif) della Banca d'Italia.

Seguendo la traccia dei soldi, gli inquirenti hanno anche scoperto che tra il 2018 e il 2019 centinaia di migliaia di euro sono passati, a titolo di risarcimento per i servizi più disparati, dai conti dell'imprenditore bergamasco a quelli di alcune società dallo stesso controllate. Di Rubba insieme al compagno Manzoni. Francesco Barachetti, l'ex idraulico di Casnigo, un piccolo paese vicino a Bergamo, si è unito subito al gioco e ha fatto fortuna grazie anche agli ordini del Carroccio. Barachetti è ancora sotto processo nell'inchiesta che ha travolto i due commercialisti leghisti e anche lui ha lavorato per le società di Carrara, che gli hanno venduto anche una villa in Costa Smeralda. C'era qualcosa per tutti, davvero. Di Rubba e Manzoni, grazie anche al collaudato rapporto con il tesoriere della Lega, Giulio Centemero, hanno ricevuto cariche pubbliche e prebende. Barachetti service, invece, si è rapidamente trasformata in un general contractor attivo dall'impiantistica ai servizi di pulizia e sanificazione.

«Non nego niente», dice Carrara quando interpellato da L'Espresso. «I miei pagamenti sono tracciati e in chiaro. Non ho niente da nascondere», si difende. Anche l'imprenditore bergamasco ci tiene a confermare la sua stima per Di Rubba. "La nostra collaborazione è stata interrotta ma spero che prima o poi possa dimostrare la sua innocenza", spiega.

Per un paio d'anni, la coppia ha macinato affari a grande velocità. Il commercialista leghista faceva il pendolare a Roma, dove era revisore dei conti del Carroccio al Senato, mentre a Bergamo prendeva corpo il progetto Boost. Un progetto ad alto rischio, perché i conti di Lediberg, così come quelli di Johnson, l'altra società da acquisire, grondavano di perdite e debiti. Carrara, però, non è tipo da tirarsi indietro di fronte alle prime difficoltà. Erede della tipografia di famiglia, puntava a fare il salto di qualità e scommetteva su Lediberg, proprietaria di noti marchi di agende come Castelli e Nazareno Gabrielli.

All'inizio del 2018 la riorganizzazione prende vita con l'intervento della società di consulenza Kpmg, che studia il caso, prescrive interventi sui costi, individua “sinergie verticali”, suggerisce lo sviluppo di nuovi prodotti. C'è anche il via libera di Ermanno Sgaravato, il commercialista chiamato a certificare, come previsto dalla legge fallimentare, il piano presentato dall'imprenditore. Sgaravato, per la cronaca, è lo stesso professionista che in quei mesi, in qualità di commissario straordinario, ha accompagnato il gruppo Mercatone Uno verso la sua chiusura definitiva e per questo è finito sotto inchiesta in un'inchiesta penale della Procura di Milano.

A Bergamo, invece, l'operazione sembrava procedere senza intoppi, almeno dall'inizio. Le banche, per evitare il crollo di un importante debitore, hanno rinunciato a riscuotere più di due terzi degli 80 milioni di crediti vantati da Lediberg. Quest'ultima, messa in vendita da un fondo con sede nel paradiso fiscale delle Antille olandesi, è stata fusa con Johnson, a sua volta ceduta dalla holding tedesca Bavaria. Affare fatto. Possiamo festeggiare. E Carrara, che in alcuni giornali diventa “The King”, il re degli stampatori, si regala uno yacht di 27 metri di proprietà di una società gestita, manco a dirlo, dal solito Di Rubba.

Fin dall'inizio, però, le prospettive di crescita del neonato Boost si sono rivelate quantomeno incerte. Il bilancio consolidato del 2019, il primo della società nata dalla fusione, si chiude con una perdita di quasi 4 milioni con debiti che superano di tre volte le proprie possibilità. Tutto questo nonostante i pesanti tagli di personale che già nel 2019 hanno portato all'uscita di un centinaio di dipendenti, per lo più in prepensionamento.

Conti alla mano, dunque, il rilancio del gruppo, obiettivo dichiarato da Carrara, non sembrava proprio alla portata. Servono nuovi investimenti e un mercato in crescita, o quanto meno stabile. Nel 2020, però, è esplosa la pandemia e il castello di carte alla fine non ha resistito alla prova della crisi. Il business delle agende, prodotto principale del gruppo Boost, soffre da tempo della concorrenza delle applicazioni digitali. E in tempi di Covid-19, con le riunioni di lavoro trasferite su piattaforme online, la domanda di taccuini, quaderni e simili non poteva che diminuire. Nel 2020 i ricavi sono diminuiti del 30 per cento rispetto ai 137 milioni incassati l'anno precedente e nonostante il massiccio ricorso alla cassa integrazione a carico dello Stato, l'azienda è presto finita in una gravissima crisi finanziaria.

Se il tribunale darà finalmente il via libera all'accordo in bianco, ci sarà tempo per cercare sul mercato un nuovo azionista pronto a scommettere sul rilancio del gruppo. Tuttavia, un'ulteriore incognita pesa anche sul futuro. Da documenti ufficiali risulta che Boost non ha pagato tasse e contributi previdenziali per 46 milioni. Un pesante arretrato, a cui bisognerà sanare in qualche modo, magari con un'operazione con il fisco, per arrivare all'omologazione del concordato. Carrara si dice pronto a fare la sua parte. Intanto, l'anno scorso, la sua famiglia ha aperto un ristorante nel centro di Bergamo. L'iniziativa ha subito dovuto fare i conti con vari lockdown e restrizioni. Partner importante è Antonio Percassi, quarantenne nipote dell'omonimo patron dell'Atalanta. Entrambi, almeno, possono consolarsi con i successi sui campi di calcio. 

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